Nel cinquantenario del ’68 la GAM – Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea di Torino dedica una splendida mostra ai dipinti di Renato Guttuso di cui si è celebrato il trentennale dalla morte nel 2017.
Due anni fa, incinta di otto mesi, io e mio marito in un weekend romantico a Palermo abbiamo visitato Bagheria con la sua bellissima Villa Palagonia e avremmo voluto visitare anche Villa Cattolica che ospita numerose opere del pittore oltre alla sua tomba, realizzata in marmo dall’amico e scultore Giacomo Manzù. Purtroppo, in quel periodo Villa Cattolica era chiusa per restauro. Quella visita non realizzata mi ha lasciato un desiderio pungente di vedere dal vivo le opere di Guttuso, una curiosità che la navigazione web non aveva placato. Avevo letto della vita di Guttuso, del suo coinvolgimento politico e sociale, della sua incredibile spinta creativa e del suo temperamento passionale al punto da essere soprannominato da uno dei suoi amici più cari “Sfrenato Guttuso”. E così la mostra alla Gam inaugurata il 23 febbraio 2018 ha creato un’occasione perfetta per soddisfare la mia curiosità.
Renato Guttuso nasce a Bagheria, in Sicilia, il 26 dicembre 1911 padre era un acquerellista dilettante e Renato fin da bambino manifesta inclinazione per la pittura. A 13 anni realizza i primi quadri, per lo più copie di paesaggi siciliani e di artisti suoi contemporanei. Nel 1928, a soli 17 anni, partecipa alla sua prima mostra collettiva a Palermo. Visse per un periodo a Milano per poi trasferirsi a Roma
Il dipinto che gli diede la fama fu La Crocifissione (1941) insieme alle polemiche per aver ritratto iun soggetto sacro all’interno di un’opera di denuncia degli orrori della guerra. Di esso Guttuso scrisse « è il simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio per le loro idee».
La mostra raccoglie circa 60 opere provenienti da importanti musei e collezioni pubbliche e private europee. Sono le tele a soggetto politico e civile a dominare la scena, quelle dipinte tra la fine degli anni ’30 alla metà degli anni ’60.
Nell’ottobre del 1967, cinquantesimo anniversario della rivoluzione d’ottobre, Renato Guttuso scriveva su Rinascita, rivista politico-culturale del Partito Comunista Italiano, un articolo intitolato Avanguardie e Rivoluzione, nel quale il pittore riconosceva alla rivoluzione il titolo inconfutabile e meritorio di essere stata il fondamento di una nuova cultura, con la quale profondamente sentiva di identificarsi e che lo induceva a chiudere il suo scritto con l’esplicita professione di fede: “L’arte è umanesimo e il socialismo è umanesimo”.
Guttuso era stato, a partire dagli anni della fronda antifascista e tanto più nel secondo dopoguerra, un artista che, come pochi altri in Italia, si era dedicato con perseverante dedizione e ferma convinzione a ricercare una saldatura tra impegno politico e sociale ed esperienza creativa, nella persuasione che l’arte, nel suo caso la pittura, possa e debba svolgere una funzione civile e sia costitutivamente dotata di una valenza profondamente morale.
Mentre visitavo la mostra è nato un piccolo confronto con alcuni colleghi in merito allo stile dell’artista che non incontravano il gusto di alcuni.Il mio occhio apprezza l’estetica di Guttuso per la ricchezza e la passione delle forme. E per apprezzare l’intera produzione artistica occorre osservare i ritratti, i nudi, le nature morte e i momenti sociali da lui ritratti per comprendere appieno la sua spinta politica e umanistica. E viceversa. Osservando i suoi dipinti a vocazione sociale anche la restante produzione diventa pura e schietta.A volte mi chiedo che cosa dipingerebbe quell’artista se vivesse adesso. Me lo sono chiesta anche per Renato. E diventa un interessante volo pindarico, non senza una riflessiona sociale e politica come penso apprezzerebbe lui stesso.
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RENATO GUTTUSO. L’arte rivoluzionaria nel cinquantenario del ’68