Luca Tommassini grande ballerino, coreografo, direttore artistico, regista, una vita di successo all’insegna del Talento donato agli altri anche attraverso le parole della sua autobiografia, Fattore T.
Abbiamo avuto l’onore di intervistarlo ospitati nella bellissima biblioteca del CRAL Unicredit di Torino e riportiamo volutamente l’intervista per intero per mantenerne lo spirito originale.
Roberto Gentile, vice presidente del CRAL Unicredit di Torino introduce l’intervista.
Vi ringrazio di aver risposto a questo invito così numerosi. Io sono Roberto Gentile, sono il Vicepresidente del circolo e offro anche il saluto rituale del Presidente De Maria e dell’organizzatore della nostra segreteria che è il CRAL. Ci troviamo qui oggi nella Biblioteca del CRAL che ospita più di 24.000 volumi. È un onore essere qui e ringrazio anche il Circolo del Regio e Tatiana Turco.
Siamo qui per presentare il libro di Luca Tommassini, Fattore T. Ho fatto un po’ fatica a capire se questo era un libro di Luca o un libro su Luca. L’equazione che mi è venuta meglio è un libro sul talento di Luca.
Quando mi avvicino ad una parola che non conosco molto bene ho l’abitudine di andare a prendere il vocabolario. Ognuno di noi ha i suoi preferiti: Zingarelli, Treccani. Sono i dizionari della scuola, quelli dei compiti in classe che abbiamo conservato, magari tenuti insieme dallo scotch. Accanto alla parola talento c’è scritto: “Una capacità non comune, sempre associata a estro e impegno.” Dopo di che sempre il vocabolario mi ha ricordato che talento era una moneta romana usata ai tempi di Cristo per premiare chi faceva cose particolari, gli atleti, i gladiatori. E mi è venuta in mente la famosa parabola dei talenti. Non so se qualcuno se la ricorda. È la storia di quel ricco possidente che va via per un viaggio lungo e non sa se ritornerà perchè una volta i viaggi erano pericolosi. Prima di partire chiama i suoi tre servi a uno dà 5 talenti, a uno 3 e all’ultimo dona un talento. Al ritorno a casa del padrone chi ha avuto 5 e chi 3 talenti ha saputo raddoppiarli. Chi ne aveva avuto uno va a riprenderlo dal giardino dove l’aveva sotterrato senza averlo fatto fruttare. Lo spirito della parabola è quello di sottolineare quanto sia più facile conservare i tesori del passato che scoprirne di nuovi e soprattutto condividerli con gli altri. Ecco questo è un altro approccio che mi ha ricordato Luca perché il suo talento in realtà è un talento che lui mette in gioco dai primissimi anni. Tra l’altro ho una figlia che lavora in Svezia quindi ho vissuto questo trasferimento dei giovani che vanno all’estero. Lui all’estero ci è andato a 17 anni. Si è messo in gioco presto quando ancora non era usuale andare via per lavoro.
Nel libro, Luca dice il talento va protetto, bisogna custodirlo, averne cura e nutrirlo tutti i giorni. E come si fa questo? Lavorando, lavorando, sette giorni su sette, 24 h su 24, dormire quando capita, avere sempre rispetto del pubblico. È bello quel passo in cui Luca descrive di mettersi dietro alle quinte dietro alle tende a vedere la reazione del pubblico e guardare soprattutto se non vanno a prendere il cellulare lasciandosi distrarre da qualche cosa. E Luca dice, essere sempre già pronti all’applauso. Questo è bellissimo. Luca dice di avere rispetto degli applausi.
Luca: E io mi sto commuovendo. Ma chi l’ha scritto questo libro? (scherza)
Roberto: Poi dice cercare il giusto equilibrio tra mente e cuore, cullare sempre il bambino che è in te, essere orgoglioso delle tue origini e non rinunciare mai a quello che veramente sei tu. E anche qui lo cito perché è uno dei punti più belli e più strani, cioè il suo incontro-scontro con Madonna che in qualche modo ha segnato un po’ il suo percorso. Lì è stato in bilico, vengo preso, non vengo preso.
Concludo per lasciare poi anche il proseguimento dell’intervista. A me piace molto tutta la saga della tavola rotonda. Se qualche d’uno lo ha letto sa che offre sempre una visione positiva. Trovo che Luca sia un moderno Mago Merlino perché in realtà il vero centro della storia non è re Artù ma è Mago Merlino. Era lui che aveva i veri poteri, quei segreti per avere successo, ma lui scelse, anche con una certa umiltà di servizio, di fare diventare re Artù. Grazie!
(Applausi)
Vito Belfiore presidente CRAL Teatro Regio dà il benvenuto.
Buonasera dopo questa bellissima presentazione voglio porgere i miei saluti a Luca. Sono il presidente del Cral del Teatro Regio di Torino. Con Luca vogliamo portare questo esempio di cultura e di talento nella nostra realtà. Ringrazio tutti i collaboratori del CRAL Unicredit che hanno permesso anche questa serata. Grazie!
(Applausi)
1. Riprendendo la bellissima presentazione del vicepresidente, ripercorreremo le tappe della vita di Luca raccontate in questo libro che è un libro che si legge tutto d’un fiato. Un libro ricchissimo come ricca è la vita di questo grandissimo direttore artistico ed è un libro ricco e arricchito dalle testimonianze di chi ha lavorato con lui. Come diceva il vicepresidente è un talento che nasce dall’estro e dal lavoro. Un estro che si è manifestato presto in Luca, nella prima messinscena della tua vita, a 7 anni, una messinscena fatta per amore.
Luca: Sì in realtà non era quella l’intenzione però adesso riguardando indietro riconosco essere la prima messinscena della mia vita. Mia madre aveva questo desiderio di rinnovare la casa e non potevamo. Le mie origini sono molto umili e semplici per cui… il colore preferito di mia mamma era il rosa e io ho pensato bene di chiedere alla ferramenta che si trovava sotto casa di aiutarmi. Nel tempo mi ha recuperato degli avanzi di vernice rosa. Un giorno mia mamma è uscita e mi sono organizzato, e ho dipinto tutto il bagno di rosa. L’ho dipinto tutto. Le maniglie, lo spazzolino del bagno, i rubinetti. Quindi quando mamma è tornata e ha aperto la porta e le ho fatto vedere il bagno, invece che un applauso mi sono beccato un ceffone. E il suono era uguale (ride). Era un applauso secco. Oggi se mi guardo indietro penso che quell’episodio avesse qualcosa di creativo in sé. Ho iniziato a studiare da ballerino a 9 anni e non ho mai pensato di essere creativo. Me ne sono reso conto soltanto dopo un po’ di anni, confrontandomi con altri artisti. La prima è stata Whitney Houston che, durante un tour, mi chiese di provvedere ai vestiti dei ballerini. Mi chiese anche: “Luca, secondo te come dovrei vestirmi io?”. Questa cosa mi sorprendeva molto. Mi chiedevo: “ma perché chiede a me come vestirsi?”. Solo più avanti ho iniziato a fare lo stylist e il costumista nelle varie esperienze che ho fatto. Poi ho iniziato a fare le coreografie per esigenza. Stavo lavorando con Kevin Stea. Ho iniziato a fare le coreografie perché non ne potevo più di fare coreografie che non mi piacevano. E lì ho scoperto che mi divertivo e che mi piacevano un sacco per cui poi è iniziato questo viaggio creativo. Comunque la mia prima messinscena secondo me è stata la migliore della mia vita. Monocolore. Minimal. Netta. Applauso. Uno.
2. Tua mamma è anche colei che ti iscrive alla prima scuola di ballo e dietro a questa scelta c’è il suo sogno che si è realizzato con te.
L.: Questa parte che porto con me molto poetica che io ho fatto insieme a mia mamma: ho sognato con lei. Io sono nato in una realtà dove il sognare non si sapeva neanche come scriverlo perché nessuno sognava. Era tutto già scritto e tutto già scontato. E forse questo bisogno di mia mamma di sognare mi ha travolto nel suo sogno perché in realtà lei voleva fare la ballerina. Quando hanno aperto una scuola di danza a centro metri da casa mia, vederla è stata come un miracolo, un miraggio. Mi ricordo che camminavo mano nella mano con mia mamma come ero solito fare e ci troviamo di fronte a questo manifesto: Scuola di danza di Enzo Paolo Turchi. Uno shock. Ancora oggi se ci penso non ha senso logico. Mia madre mi guardò e mi disse: “Vai Luca, vai e ballerai per me e per te”. Questa cosa romantica la porto in scena ogni volta. Di fronte ad ogni pubblico ho sempre pensato di avere mia madre accanto a me. Mi commuove.
3. Con Enzo Paolo Turchi e Lydia Turchi inizia quello che è il tuo percorso artistico e inizi a studiare. Ci piace molto questa parola che ricorre spesso nel libro: spugna. Tu studiavi e osservavi tutto assorbendo come una spugna.
L.: Da lì è iniziato un percorso umano che è quello che adesso rileggo ogni volta attraverso il libro facendo le interviste. Rileggo la mia vita, la mia storia, le vostre domande diventano uno strumento per conoscermi. Sono stato quasi adottato da Paolo e Lydia. Mi portavano a casa loro, mi hanno insegnato a parlare italiano, mi davano schiaffi sulle mani, mi hanno educato a stare in silenzio e parlare quando opportuno, a diventare spugna. Loro vedevamo in me non solo il cuore, ma anche un talento che hanno saputo riconoscere in me e darne un valore. Questo percorso umano mi ha sempre portato a tirare fuori la parte umana, l’anima degli artisti con cui lavoro cosa che mi è tornata molto utile quando ho iniziato a fare le coreografie, a lavorare con gli artisti.Anche ad X Factor è così. Perché vedo dentro agli occhi l’anima e cerco di portarla in scena e questo è nato dal mio percorso iniziato a 9 anni nella scuola. Da lì ho sempre messo la persona in primo piano. E attraverso la persona che esce la parte umana e l’anima e così si riesce a stupire e coinvolgere le persone.
4. Queste relazioni te le porti dietro quando decidi di andare in America. Ancora minorenne inizi a frequentare una scuola di danza. Grazie al fatto che non ti sei mai risparmiato e ha seguito il consiglio di Enzo Paolo che diceva ‘fallo con la forza’ ottieni il tuo primo lavoro in America.
Sì prima di arrivare a quello sono stato coraggioso. A 17 anni prendere l’aereo da solo senza aver mai volato in vita mia. All’epoca costava carissimo un biglietto aereo per l’America veniva un milione di lire. Ci compravi o la casa o il biglietto per andare in America. Lavorando ho messo i soldi da parte per comprarlo. Mi ritrovo da solo in aereo, ancora minorenne, senza un soldo e senza parlare una parola di inglese. Un pazzo. Mi ricordo che durante il volo andavo a piangere nel bagno dell’aereo. Ho passato più tempo in bagno che seduto sulla poltrona. Quando sono arrivato in America ho fatto una cosa bruttissima: non ho fatto l’applauso quando atterrava l’aereo. Però sono sceso dalle scalette e mi sono buttato in ginocchio baciando la terra. E poi ho avuto la fortuna che hanno visto in me quella cosa che dici, fallo con la forza che è un po’ il mio motto. Vivo ogni cosa con molta passione. Tanto è vero che o faccio una cosa facendola o preferisco non farla. Però se la faccio io piuttosto muoio e morirò facendo qualcosa ma la devo portare a termine che è una dannazione oltre che devozione.
Così ho conquistato il mio primo lavoro in America, senza averlo cercato. Ero in questa scuola dove mi hanno offerto una borsa di studio in regalo. Forse perché stavo lì dalla mattina alla sera non andavo mai via, non mangiavo perché non avevo soldi e guardavo i ballerini nelle altre lezioni. Ne seguivo una sola che era quella che potevo permettermi. Ad un certo punto gli insegnanti mi hanno spiegato che potevo fare lezione. Mi hanno fatto diventare Luca the Italian, il ragazzino italiano che voleva studiare ed era pazzo della danza. Un giorno mi ricordo che c’erano tantissimi ballerini e ad un certo punto durante la lezione di sono presentati tanti ballerini professionisti come non succedeva. Non capivo il perché finché ad un certo punto ho guardato alla porta e ho visto Janet Jackson. Le star non mi hanno mai impressionato. Era quasi non dico normale. Sono cresciuto con Enzo Paolo, Carmen, Pippo Baudo. Sono sempre stato molto rispettoso di chi era bravo. A me appassionavano le persone brave, le persone che condividevano il loro talento. Ero assettato e volevo imparare. Ancora oggi. Per cui Janet Jackson era una sorta di miraggio, la prima star americana che incontravo e mi guardava e io ero in imbarazzo. Alla fine della lezione è venuta da me. Io non capivo nulla in inglese e la guardavo e mi ha chiesto di partecipare ad un suo video.Mi feci tradurre da un ballerino in spagnolo. E le dissi che ero minorenne, italiano, senza documenti nel senso che avevo un visto turistico e non di lavoro. Lei decise di farmelo fare comunque e di pagarmi Under The table come dicono gli americani qualche decina di dollari.
5. Le audizioni tornano sempre in tutto il libro. In particolare a pagina 45 mi hai conquistata. Che cosa succede lì? Scavalchi un muro!
Scavalco un muro altissimo. Dopo qualche tempo, rientrato in Italia, ho deciso di tornare in America e tentare il possibile. Nel frattempo mi era scaduto il permesso di turista ed ero senza documenti, ospite a casa di amici che mi ospitavano nel loro salottino dove dormivo per terra, fortunatamente sulla moquette. Loro si stavano preparando per andare all’audizione degli Oscar, che per un ballerino in tutto il mondo è una cosa importante per chiunque voglia fare un’esperienza perché ha due miliardi di telespettatori. Se pensate che X factor ce ne sono due milioni, c’è una piccola differenza. E tutti quelli che frequentavano la scuola di ballo e quelli che conoscevo si stavano preparando all’audizione. Tutti parlavano di questa audizione che io non potevo fare. Quella mattina mi sveglio, loro si preparavano e io sdraiato a terra e mi sono detto: “Luca vai!” Io non sono per nulla coraggioso e ho iniziato a far finta di essere coraggioso. E voglio raccontare questa cosa che ritengo fondamentale. Io riconosco di avere dei limiti che è già importante riconoscere il proprio limite e poi vedo le altre persone come agiscono in quella occasione e mi dico: “guarda come è coraggioso, guarda come è forte”. Così io faccio finta di avere quel coraggio. Me ne approprio per un attimo, una sorta di esercizio di recitazione. Quella mattina sono andato con i miei amici all’audizione anche se loro ne erano contrari. Fuori dal cancello degli Studios c’era una fila enorme, ovviamente chiedevano documento, dovevi essere su una lista, dovevi essere invitato da un agente che io non avevo quindi io faccio un giro intorno al ‘block’ di questa zona di queste mura altissime e ad un certo punto mi arrampico e mi butto di sotto e scavalco. Da lì sono arrivato fino alla fine dell’audizione e sono stato scelto da Paola Abdul che naturalmente parlava in inglese e io non capivo. Lei mi ha cambiato la vita. Mi ha fatto un contratto di due anni come una sorta di sponsorizzazione. Mi ha fatto un contratto come uno dei ballerini principali per la notte degli Oscar.
6. Le audizioni ricorrono nel libro e un anno vinci anche un premio come best audictioner. Un’altra audizione che ci piace molto ricordare è quella con Whitney Houston.
Lì ho esagerato. Allora ero già diventato quasi popolare perché andavo alle audizioni e mi temevano. Perché mi trasformavo: radevo i capelli, vestivo a tema, ci credevo. Arrivavo nel personaggio, un pazzo però professionale, volevo essere perfetto. Whitney Houston era la più grande star del mondo in quel momento perché arrivava dal successo dell’album I Wanna Dance with Somebody. Anche Madonna le faceva concorrenza, ma era meno rispettata. Madonna ad esempio all’inizio non mi piaceva. Dicevo: “Ma dove vuole andare questa? Durerà pochissimo!”, Io mi rifiutavo di andarla a vedere persino in concerto.
Whitney stava cercando ballerini per il tour I am Your Baby Tonight. L’audizione recitava: cercasi ballerino alto un metro e 90 – io al massimo arrivo a un metro e 78 – nero e ballerino hip hop. Con uno sforzo… Bene che cosa faccio? Mi ricordo che mio padre portava i tacchi interni alle scarpe, aveva il rialzo. Quindi vado a cercare un calzolaio a Los Angeles. Ancora oggi ho mal di schiena per quei tacchi. Perché poi ho dovuto tenerli per tutto un anno per far credere a tutti che fossi alto. Vado all’audizione. Faccio tipo 12 lampade in tre giorni. Ustionato. Poi alla fine penso non ce ne fosse bisogno perché poi Whitney risolve tutto così. Mi prende, gli sto simpatico, gli piace come ballo. Lei risolve tutto. Mi dice: “Luca tu non sei bianco tu sei an Italian Nigger”. Una razza rara. (ride) E questo è stato.
7. L’Audizione con Madonna è un altro passo emozionante nel libro. Lì calza a pennello la frase di Seneca che dice: non esiste la fortuna ma il talento che incontra un’opportunità.
L’audizione per Madonna è stato un fatto straordinario per me. Come dicevo Madonna non mi ha subito conquistato, l’ha fatto con il tempo. La cosa che mi attraeva di massima e che ancora mi attrae e che mi porta a rispettarla più di qualsiasi altra, persino più di Micheal e di Whitney che sono talenti enormi ma che in qualche modo Dio ha voluto più bene a loro quando sono nati, mentre per Madonna forse in quel momento era in vacanza. Madonna è molto terrena, è tutto lavoro, è un Work of Art come dicono gli americani. C’è una messinscena totale di una donna non molto alta, non molto bella, che non canta benissimo, che non recita benissimo e che di naturale ha pochissimo. Ma il suo grande talento è di saper costruire quello che poi diventa uno spettacolo. Lei costruisce la bellezza e lo crea nel lavoro di squadra. Mette insieme le persone. Perché da soli non si può fare nulla. Io sono convinto di questo. Io non sarei mai stato niente come nessuno è niente da solo. E quindi andare alla sua audizione significava andarci con uno stato psicofisico teso. A parte questa cosa avevo imparato a fingere. Ho vissuto questa audizione come una grande occasione perché in un certo senso ancora oggi secondo me far parte della squadra di ballerini di Madonna significa arrivare. È come se devi comprare casa e ti serve un mutuo. Quel momento in cui ti dicono sì. E tu dici: “Ah ho una casa”. E ho vissuto quell’esperienza in modo molto violento e quindi l’approccio di Madonna nei miei confronti era molto provocatorio. Quindi è stato uno stato stress enorme, una grande sfida. Mi sono buttato e l’ho fatto. Ovviamente ho fatto bene. Nasce questa sfida tra me e lei durante l’audizione molto molto divertente e molto molto molto poco divertente allo stesso tempo. Ho rischiato tantissimo e poi è andato bene. È bello perché secondo me è molto importante esserci. Io penso che non bisogna mai sottomettersi o annullarsi, anzi vedere i propri limiti perché io credo che noi ci innamoriamo delle persone per le loro fragilità, i loro limiti e difetti. Siamo attratti dalla bellezza ma poi l’amore nasce per altri motivi. Io ho imparato tanto in quella occasione.
8. Il rapporto con Madonna cambia. Si fa più intimo. E di fronte ad un grande artista compie un gesto di grande affetto nei tuoi confronti.
I miei idoli sono stati Michael Jackson e poi Gene Kelly dico poi perché ho scoperto che Michael attingeva dalle grandi star del musical dei film hollywoodiani delle grandi produzioni. Uno a cui si ispirava era appunto Gene Kelly e mi sono appassionato perché volevo studiarlo. Io ero attratto dalla magia che creava sul palcoscenico. Quello che successe fu poi che mentre facevamo le prove del Girlie Show Madonna chiese a Gene Kelly di coreografare Singing in The Rain perché Madonna cantava una canzone che si chiamava Rain. Trovandosi già sulla sedia a rotelle Gene fece una sorta di casting e, grazie alla mia base di danza classica, scelse me per coreografarlo.
Fu durante quella audizione che andai in crisi. Il rapporto con Madonna è stato un grande insegnamento anche per questa cosa. Raccontare questa cosa è più difficile che leggerlo dal libro. Io sono andato nel pallone totale davanti a Gene Kelly che mi guardava, Peter Ciccone e tutti gli altri ballerini che mi guardavano un po’ storti. Io mi sono bloccato. Ad un certo punto Madonna si avvicina e mi dice nell’orecchio: “Tu sei bello”. E io: “Grazie!”. E lei mi fa: “No, non hai capito. Tu sei bello!”. Adesso sembra una sciocchezza. Ma ha cambiato tutta la percezione che io avevo di me stesso e mi ha buttato anche in una crisi psicologica che è stata occasione anche per un viaggio che ho fatto e sto ancora facendo perché in quel momento mi sono reso conto di quanto fossi insicuro.
9. Facciamo un salto in avanti. È uscito da qualche settimana il film ‘Un bacio’ di Ivan Cotroneo. Abbiamo visto un video dove tu guidi Rimau che è il protagonista che nella vita non aveva mai ballato prima. Lo guidi in questa nuova esperienza del ballo con molta presenza e delicatezza.
Per anni ho pensato che il regista fosse un dittatore. Oggi sto cambiando idea. È sempre uno scambio tra due entità. Lo scambio è fondamentale. Il valore delle cose lo posso fare solo se io guardo qualcun altro. Quindi ogni cosa che immagino, ogni cosa che penso non ha nessun valore finché non è dentro a qualcun altro e viene amplificato. Il film ‘Un bacio’ è molto importante per me e per la nostra società dove il bullismo è diventato atroce. Io sono stato vittima di bullismo, un ballerino di nove anni nato e cresciuto a Prima Valle a Roma… Ho lavorato con Rimau, un ragazzo di 18 anni, come se cucinassi una torta di compleanno ad un figlio che compie un anno. L’ho fatto con tutto il mio cuore, con tutta la delicatezza, l’attenzione e l’amore che avevo. E questo penso si veda molto. Sono molto orgoglioso di questo film perché penso sia uno strumento per dare valore a quella che è stata la mia carriera e ai sacrifici che tutti noi dobbiamo fare per arrivare lontano.
10. Questo ruolo di guida di direzione ce l’hai avuto anche nel lavorare sull’immagine di una famossissi cantante pop che ha voluto ridefinirsi. Stiamo parlando di Geri Hallywell.
Io penso che lei volesse farlo, rimodellare il suo Corpo. Gery è stata vittima di tantissime problematiche il bullismo, era alcolizzata e drogata. Ho fatto un percorso anche umano con lei, l’ho accompagnata alle riunioni degli alcolisti anonimi. Ho fatto un percorso insieme lei molto interessante e il nostro rapporto è durato diversi anni. Un’esperienza di vita che ha preso molta forza nel progetto discografico e iconografico del video e della messinscena che abbiamo fatto che è stato un grandissimo insegnamento. Perché tutto ciò che appare così superficiale, così brillante, così pop arriva solamente se dietro c’è un’anima, c’è una storia vera e ci sono delle persone che l’hanno vissuta veramente. Io mi affeziono come pubblico quando dietro anche alle cose più banali e semplici, percepisco uno spessore. Mi è successo con le tic tac. Ho conosciuto il signor Ferrero perché ho fatto tante regie per l’azienda. Sono rimasto sbalordito da questo signore che si rinchiudeva ancora negli ultimi anni dentro al suo laboratorio a inventarsi le cose. Quando mi ha spiegato della tic tac – io mangiavo tic tac che mi sono venute 18mila carie- per farvi capire quante ne ho mangiate. Quando mi ha parlato della tic tac mi sono innamorato della passione, ho iniziato davvero a capire che cosa significasse la passione dietro ad una cosa semplice come un tic tac.
Tutto questo per dire che Geri è arrivata a questa trasformazione perché lo voleva fare. Ci abbiamo messo un anno a trasformarla fisicamente. Quella era una delle più belle medaglie che mi sono conquistato umanamente. Penso che non sia necessario e oggi lo penso sempre di più, che non bisogna essere magri per gli altri. Se hai bisogno lo fai per te stesso. Ma se hai qualche kilo in più delle volte al buio funziona anche di più.
11. Parliamo della tua ricetta.
Per questo ci vorrebbe la mia assistente amica Daniela che da 15 anni è la mia ombra ed è la persona a cui io dico le mie idee. Quando ricevo un lavoro lo vivo come un problema da risolvere che non penso mai di poter essere all’altezza di risolvere sia che sia un cliente o Sky che ogni anno mi taglia il budget e mi dice che devo realizzare l’XFactor più bello del mondo. Attacco di panico. Per cui la ricetta è quando io ho l’idea è l’idea è per me il 90% del lavoro perché le idee sono la cosa più importante che io riconosco dare un senso a quella che continua ad essere una carriera che mi stimola e che mi piace. Io per esempio sto quasi sempre male finché non ho un’idea che mi piace da morire e che voglio realizzare. Quell’idea porta avanti tutto, tutta l’energia e questo ti porta a vivere delle storie incredibili e vedere l’applauso del pubblico, adesso i brividi non si vedono, ma è quell’applauso e quelle facce che io guardo di nascosto del pubblico che mi danno l’attimo più bello. È tutto lì. E parte dall’idea. Cioè l’idea ti porta ad emozionare le persone. Non c’è nulla di più bello e di più ricco!
(Applausi)
12.Quando lavori con un artista come usi la ricetta per aiutarlo a far emergere il suo talento?
Dipende dall’occasione. Ad esempio quando ho conosciuto Elisa mi sentivo intimorito perché la considero una grandissima artista. Davanti ad un grande talento mi sento sempre piccolo. Quando mi ha scelto per un lavoro le ho detto: “io voglio conoscerti di più”. Lei aveva appena partorito. Bruttissima idea. Sono andato a stare a casa sua. Io non ho figli. Ho patito le pene dell’inferno. Perché la riunione era, ha mangiato e ora dorme, riunione. Cinque di mattina. Sveglialo, fallo dormire, dormi luca. Mangia. E quel tour è nato così. È stata davvero un’esperienza formativa, come un viaggio. Per cui quando un artista mi chiede io sono sempre in imbarazzo perché non penso mai di poter sfornare un’altra idea bella come quella che li ha portati a chiamarmi e quindi chiedo sempre di poterli conoscere. Con i ragazzi di Xfactor faccio lo stesso. Io vivo dentro a XFactor. I giudici vengono lì qualche ora. Io sto sempre lì 7 giorni su 7, 24 ore su 24. Arrivo per primo e vado via per ultimo. Vado nel loft il più possibile. Ma non davanti alle telecamere. Io non voglio neppure andare in onda, preferisco non farmi vedere. Voglio fare il mio lavoro e lo voglio a fare a testa alta ed è la cosa che mi fa andare a dormire due o tre ore tranquillo.
13. Parlavamo prima dei Social. Ho letto l’altro giorno su Twitter una persona appassionata del tuo lavoro che scriveva:” Vorrei un programma diretto da Tommassini e Peparini insieme”. Tu gli hai risposto: “Noi mettiamo in scena quello che abbiamo sognato da ragazzini”.
Si pensate che Giuliano Peparini è il direttore artistico di Amici. Io studiavo a Roma da ragazzo avevo 14 anni e lui è un pó più piccolo di me di due o tre anni. Al bar dopo la lezione di ballo sentivo parlare di questo fenomeno di ragazzino e mi dicevano:”devi vederlo ballare”. E mi chiedevo chi fosse. Decisi di incontrarlo e scoprii che si chiamava Giuliano e studiava alla scuola Crazy Gang. Così, come un pazzo, mi feci dare l’indirizzo e andai alla sua scuola. Mi dissero che avrei potuto vederlo al saggio. Mi feci invitare al saggio. C’erano una serie di numeri non proprio bellissimi e poi ad un certo punto arriva questo ragazzino che io non ci potevo credere: un fenomeno ma talmente bravo che ero emozionato, quasi alle lacrime. Finito il saggio di danza vado dietro alle quinte, vado da lui, mi presento e gli dico: “Vieni con me domani”. “Dove?” Mi chiede lui. “Via da questa scuola. Devi studiare”. Così l’ho portato allo Ials che era la scuola dove studiavo dove non poteva entrare perché aveva meno di 16 anni e che facevo entrare di nascosto. Poco dopo Giuliano ha fatto una delle carriere più belle che riconosco esserci. Se mi trovo a Tokyo sento fare il suo nome. È una persona che rispetto tantissimo. Per quello quel post era molto bello. Io ho risposto dicendo che stiamo facendo quello che sognavamo di fare da ragazzini che è la cosa più bella che si possa fare.
Domande del pubblico.
14. Il talento più umano con cui hai lavorato?
I più grandi talenti sono le persone più umili, più umane, quelle rimaste più impresse al pubblico. Robin Williams, era una persona a cui non dovevi chiedere niente e ti dava tutto il possibile ma non la parte comica o clownesca o la parte dell’intrattenitore comico davanti al pubblico. Io ho fatto un film con lui, Piume di Struzzo di Mike Nichols con Gene Hackman e Robin Williams. È un film molto importante per me a cui ho lavorato per tanti mesi e non so perché c’era una persona squallida che non mi salutava, né considerava. Umanamente questo mi feriva molto. Artisticamente già mi sentivo zero quindi era veramente duro. E Robin Williams, che era testimone di questa cosa, veniva ogni mattina alle 5 nel mio camerino e mi portava un espresso. Non nominava quello lá. Mi parlava solo di quanto fosse importante essere in quel film per lui e per me e quanto era bello umanamente condividere un caffè un espresso, ripetendomi tutte le parole che sapeva in italiano. E se ne andava. E quello mi dava la forza di essere su quel set. Quando avevo bisogno mi giravo e lui mi faceva un occhiolino e si risolveva tutto. Questo per dire quanto possiamo essere veramente umani e importanti per un’altra persona. Non perché sia Robin Williams ma proprio esserci. A cuore aperto.
15. Vorrei sapere da te Luca se sei consapevole di quello che riesci a darci e delle emozioni che riesci ogni volta a farci arrivare dritte al cuore e se sei consapevole del fatto che il tuo pubblico ti ama davvero così tanto?
Sì lei è Monica e fa parte della Tommasini virtual FAMILY. Noi condividiamo tutti i giorni le nostre cose. Io cerco di leggere e rispondere a tutti. Ho iniziato a rispondere perché non sopportavo le persone con cui lavoro spesso che ricevono migliaia di messaggi e snobbano. Io odio questa cosa. Il fatto che la tua responsabilità finisca nel momento in cui tu hai scritto un messaggio che ti fa apparire figo, quando non rispondi al commento non c’è uno scambio. Io non posso pensare di avere dei fan. Io posso pensare di avere delle persone che apprezzano il mio lavoro. O che apprezzano ciò che ho fatto. Poi quello che facciamo e abbiamo fatto è di costruire umanamente un rapporto. Non sono consapevole dell’amore che do ma sono consapevole di quello che ricevo da voi perché questo io lo sento. Mi piace dare e non mi costa. Questo per chi non fa parte della Tommasini virtual FAMILY. Però vi aspettiamo. Venite!
16. Che cosa ti ha spinto a partecipare a Pechino Express?
Volevo farlo per una serie di motivi. Una delle poche cose che guardavo in TV era Pechino Express perché c’è una serie di cose che la rendono magica esteticamente. Poi c’era Paola Barale, una mia amica da oltre 30 anni che non lavorava da tempo e mi piaceva l’idea di riportarla in tv. Come mi è piaciuto farlo con Lorella Cuccarini. Sono cose che mi piace fare, mi fanno stare bene umanamente e professionalmente.
Io poi ho vissuto due o tre anni di depressione professionale e creativa. Non so perché avevo il rifiuto del lavoro. Sarà perché lavoro da quando avevo undici anni. Pensavo di dovermi fermare professionalmente per scoprire me stesso. fermandomi poi, ho scoperto che già mi ero scoperto. Che io mi sento bene e realizzato quando sono sul palco non a fare la performance ma a creare qualcosa. Dopo aver capito questo sentivo il bisogno di un percorso interiore, di una motivazione che mi riportava un pó a quella che è stata la mia scuola e che mi ha formato e cioè avere delle regole e dei limiti, quelli con cui avevo a che fare facendo il ballerino. Per cui il fatto di tornare in TV, avendo le telecamere addosso e sentirmi responsabile per la mia amica, tutto questo mi ha dato la carica. Mi sono rimesso a dieta, rimesso a fare palestra. Questo non l’ho condiviso perché era più un percorso mio. Mi sono messo a ripensare come vestivo, come parlavo, come mi rapportavo agli altri. È stata un’esperienza molto mia. Lo riconoscevo anche come un modo per tornare a farmi conoscere perché spesso sento delle cose che non mi piacciono su di me e faccio finta di fregarmene ma in realtà mi fanno molto male. Ad esempio, quando sento qualcuno che mi descrive in un modo che non è la realtà. Sentivo il bisogno di tornare a parlare, ho iniziato a scrivere il libro affrontando certi temi che non avevo mai affrontato in vita mia come il bullismo. E pensavo di fare una trasmissione un reality nelle stesse condizioni in cui mi trovavo quando ero in America dormendo per strada. Nelle stesse condizioni dei miei inizi, quando mi sono formato come uomo e professionista. La sorpresa è stata cadere il primo giorno nel fango alto dove c’erano delle pietre sotto. Ho preso una storta. Da lì mi sono saltati due legamenti. In TV questa cosa non l’hanno mostrata. Non so perché. Io sono andato avanti testardo come sono. Ma è stata un’avventura devastante. Sulla caviglia di legamenti ce ne sono tre. Sono andato avanti per quattro puntate che in realtà sono 4 settimane con un legamento solo. La cosa sconvolgente di Pechino express è che non solo è tutto vero, ma è molto peggio. Soffri fame e sete, con la sabbia negli occhi, quattro ore senza poter parlare con nessun e nessuno ti aiutava. Non ho mai conosciuto la disperazione così. In televisione non si vede. Non si mangia, non si dorme. Non vi posso dire per andare al bagno. È una delle prove più complicate che ho affrontato. Però mi é piaciuta molto. Ha portato alla conoscenza anche me e Paola. Ci ha portato ad affrontarci in modo a volte molto animalesco. Secondo me è molto più interessante il backstage che quello che fanno vedere in TV.
17. Quando cambi il look di una star, come ad esempio Giorgia nel video ‘Marzo’. Come fa un’artista così arrivata a dare totale fiducia ad un regista?
È lei che è cambiata. Un artista quando cambia non è mai grazie a qualcun altro. Può cambiare un vestito grazie a qualcun altro ma il vero cambiamento che è quello per cui tu ne parli oggi è perché era disposta e pronta e aveva necessità di esporsi, mettersi in luce, farsi vedere. Penso che ogni cambiamento sia l’avvicinamento alla verità e credo che un artista la scopra insieme al pubblico. Io spesso non aggiungo ma tolgo.
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Grazie Luca!
Photo Credit: Maren Ollmann
Coordinamento organizzativo: Tatiana Turco
Ufficio Stampa: Daniela Piu